martedì 29 novembre 2011

Le donne del Sof in Italia


Luisella

Non solo i maschietti kayakers iniziano ad apprezzare , richiedere, costruire un kayak tradizionale,ma ora hanno iniziato anche le femminucce .
Questo modo così antico di andare via mare con una vera replica del passato,costruito con le metodiche dei popoli artici,emoziona chiunque senza distinzione di sesso.
Luisella Valeri,che molti di noi conosciamo è stata la prima donna kayaker in Italia, ad essersi cimentata nella costruzione di un kayak tradizionale,frequentando un corso di workshop (che posso garantire, sufficientemente faticoso per un uomo).
Questo dimostra che passione e interesse non ha sesso e che baipassa la mancanza di conoscenza sulla manualità dell’uso di strumenti prettamente specifici .
Poi c’è Giuliana, che lo skin on frame se l’ho è fatto costruire dal suo compagno Leonardo,uno dei punti di riferimento come costruttore di kayak a tutto tondo in Italia ,insomma un grande.


Giuliana
Poi c’è Maria ,dove Tore, ,gli ha costruito uno splendido kayak tradizionale .



Maria

Infine Manuela che ha voluto andare oltre, chiedendomi di costruirle un baibarka, che ha voluto testare venerdì scorso al lago Di Bracciano.

Manuela

sabato 26 novembre 2011

Relazione sull'efficienza e il rendimento sulla pagaia groenlandese



Nel post precedente Giorgio ha spiegato l’effetto che produce la cavitazione nella pagaia groenlandese.
Più aumenta la velocità di battuta,più aumenta la quantità di aria che viene risucchiata giù lungo la lama,creando due pressioni di flusso alternato dietro la le pale della pagaia,che si manifestano in uno sventolio di bolle d’aria detto anche vortice di Karman il quale porta allo stallo della pagaia.


La similitudine la si può fare con un motore endotermico quando va in fuori giri o dalla relazione che c’è fra la lunghezza di una scafo e la sua velocità massima .
La cavitazione per una pagaia tradizionale,rappresenta uno dei maggiori punti a sfavore rispetto ad una pagaia moderna , a maggior ragione se viene usata in maniera prestazionale.

Nei forum ,nei blog ai raduni si assiste spesso ,a prese di posizioni, sul vantaggio della pagaia a cucchiaio rispetto alla tradizionale e viceversa, alcune volte fino ad arrivare a dei scontri verbali veri e propri, dettati molto spesso dal fanatismo di posizione, il più delle volte arricchito molto dall’arroganza più che dalla conoscenza.


Sulla pagaia tradizionale molto è stato detto,i puristi della tecnica groenlandese, ne declamano ,come fosse una poesia gli innumerevoli vantaggi, che chiaramente non ripeterò per non essere ripetitivo .
La cosa che a me interessa è sapere, quali sono i reali vantaggi di una pagaia groenlandese, gli ulteriori miglioramenti fattibili per aumentarne il rendimento, visto che oltre essere un fruitore , ne sono anche costruttore.


Innanzitutto diciamo che il RENDIMENTO è il rapporto tra un lavoro svolto e l’energia totale spesa per compierlo.
Ciò non può mai assumere un valore superiore a uno, che rappresenta il rendimento ideale ( ovvero tutta l'energia sviluppata viene trasferita completamente senza perdite) questo perché purtroppo bisogna tener conto delle resistenze.

Le resistenze, , sono delle forze che si oppongono al movimento di un corpo,nel nostro caso parleremo di resistenza fluidodinamica o idrodinamica in riferimento al moto nei liquidi .
Una maggior resistenza porterà a un decadimento prestazionale come una minore la migliorerà.
Le resistenze che diminuiscono il rendimento di una pagaia, di un remo ecc. sono;
La superficie che la pagaia espone al moto con cui essa si sposta nell’acqua.
La viscosità del liquido.
IL coefficiente di penetrazione della pala determinata dalla sua forma.
Le resistenze indotte e le passive.


Queste considerazioni, sicuramente noiose per molti,spero interessanti per pochi, nascono dall’idea di poter intervenire dove ciò è possibile.
Un parametro da tenere in considerazione è la tecnica della pagaiata,o ancor meglio la possibilità di sfruttare al meglio la pagaia nella condizione del momento, d’altronde le dinamiche del gesto atletico, sono correlate da una serie di variabili ,che un buon pagaiatore dovrebbe saper leggere o interpretare.


Se una pagaia ha un comportamento eccessivo a cavitare(formazione di cavità riempite con un gas in mezzo a un liquido in movimento) per difetto di forma,la cosa migliore sarebbe quella di modificare l’angolo di attacco in corsa aumentando la negatività della pala, diminuendo la velocità di passata,o aumentando la profondità della stessa.

Io penso che ognuno di noi dovrebbe e potrebbe testare la bontà della propria pagaia ,senza limitarsi all’effetto estetico degli abbinamenti del legno, tantomeno al kayaker di grido a quello super esperto, che invece di suggerire sentenzia giudizi , opinioni e consigli a volte errati.

Questa prova la si può fare , magari un giorno che non avete questa grande voglia di uscire in kayak per fare chilometri.
Comunque, pagaiando in acqua calma con un po’ di attenzione noterete che nella superficie davanti alla pala della pagaia si crea come un piccolo cuscino d’aria,mentre dietro una cavità con una scia piena di bolle d’aria,la quale determina la turbolenza che crea una diminuzione di resistenza che si oppone allo spostamento della pagaia.

Ancora oggi, (probabilmente perché non c’è una risposta significativa di mercato sulla pagaia tradizionale) ,alcune cose sono ancora incomprese sulla meccanica dei fluidi che influenzano il comportamento di una pagaia groenlandese .
Nel passato invece consultando il libro di Golden ; abbiamo la consapevolezza che gli eskimesi hanno studiato il comportamento delle proprie pagaie per millenni, gli innumerevoli modelli , censiti sul testo in periodi storici diversi ,ne testimoniano la loro grande ricerca.

mercoledì 16 novembre 2011

Come controllare il fenomeno della cavitazione nella pagaia groenlandese






I motivi per cui la pagaia groenlandese cavita sono essenzialmente due: Il primo è legato alla sua fisicità, alla sua lunghezza e in misura minore alla sua forma e la seconda, “come” viene utilizzata.
Possiamo poi aggiungere che le due cause riescono ad avere un’influenza reciproca, ciò vuol dire che un certo tipo di pagaia entra più facilmente in cavitazione con un certo stile di utilizzo e viceversa.
Una premessa, per cavitazione si intende quel fenomeno per cui dell’aria viene risucchiata in maniera turbolenta da un corpo che si muove con relativa velocità immerso in un liquido, il fenomeno diminuisce aumentando la profondità dell’azione, fino all’annullamento. Quindi per fare un esempio un’elica può cavitare vicino alla superficie dell’acqua dove riesce a risucchiare aria, non cavita in profondità.
Il fenomeno aumenta con l’aumentare della velocità relativa del corpo immerso rispetto al liquido.
Quindi facendo il solito esempio un elica che gira lentamente non ce la farà a trascinare dell’aria sotto l’acqua, diversamente dalla stessa che gira velocemente. Idem con la pagaia che utilizzata lentamente non cavità, diversamente da quando viene utilizzata con forza e quindi con velocità relativa della stessa rispetto all’acqua.
Veniamo alla nostra pagaia che cavita parlando dei primi motivi per cui questo fenomeno si presenta, quindi delle sue caratteristiche di forma.
In primo luogo la sua lunghezza, la pagaia groenlandese è molto lunga, ciò provoca una velocità periferica proporzionalmente elevata, ovviamente in particolar modo alla sua estremità.
Fenomeno evidente quando iniziamo a pagaiare da fermi, magari con forza (succede ugualmente anche con la pagaia moderna).
Con l’aumentare della velocità del kayak e il diminuire della velocità relativa della pala immersa rispetto all’acqua che consideriamo ferma, il fenomeno della cavitazione diminuisce, (più rapidamente con la più corta pagaia moderna) fino a sparire del tutto o quasi.
Quasi, perché di solito alla sua estremità rimarrà quella trecciolina filiforme di bollicine come residuo della cavitazione.
Tutti noi che utilizziamo la groenlandese poi abbiamo notato che a parità di lunghezza comunque alcune pagaie risultano più soggette al fenomeno della cavitazione, quindi la sua forma, i suoi volumi ma soprattutto il grado di rotondità dei suoi bordi influenzano l’insorgere del fenomeno.
Qui entriamo in pieno nelle capacità, nell’esperienza e conoscenza dell’artigiano che le costruisce, di pagaie groenlandesi ce ne sono di scarse e di ottime, quindi che cavitano particolarmente o no.
Anche se apparentemente simili, il loro comportamento varia di molto e chi è bravo a farle fa la differenza!
La seconda motivazione del fenomeno della cavitazione della pagaia, è legato allo stile di pagaiata e all’esperienza di chi la utilizza.
Questo tipo di pagaia per il fatto che è lunga va utilizzata il più orizzontalmente possibile, quindi il più vicino possibile alla superficie dell’acqua, direi relativamente lontano dallo scafo.
In questo modo chi la conosce ne apprezza le sue intrinseche qualità, che non sto qui ad elencare, ma allo stesso tempo, tenerla così vicino alla superficie dell’acqua la rende soggetta al fenomeno della cavitazione.
A questo punto entra in gioco il corretto utilizzo della stessa e l’esperienza, chi la utilizza correttamente sa che la passata in acqua dovrà essere con l’inclinazione della pala negativa.
L’inclinazione negativa della pala, oltre a migliorare l’ingresso e l’estrazione, provoca un importante effetto di “deportanza”, quindi un aumento di pressione sopra la pala immersa, subendo una forza che cercherà di spingerla verso il fondo. Contrastando l’affondamento della stessa e allo stesso tempo regolando l’incidenza negativa, la pala lavorerà sotto uno strato di acqua con un’aumentata pressione, proprio questo, oltre a migliorare sensibilmente la spinta che consente di minimizzare il fenomeno della cavitazione.
Giorgio Perrotta

martedì 1 novembre 2011

Riflessioni sul Kayak tradizionale




Quando sei anni fa ho deciso di costruire il mio primo kayak tradizionale non
avrei mai potuto immaginare ,che nel futuro ci sarebbe stato un interesse così
profondo,verso questo tipo di costruzione.
Dopo aver costruito scafi, in legno, in composito ecc. la scelta del kayak
tradizionale è stata consequenziale, perché tutti i kayak marini odierni
risalgono a questo antico progetto , ma soprattutto perché volevo misurarmi con
le capacità di questo popolo, di cui poche cose sapevo, che sfruttando solo
esperienze empiriche, con mezzi e materiali tirati fuori da un ambiente arido,
privo di ricchezze naturali, con un clima rigido, siano riusciti a concepire,
ed ha realizzare nel corso dei millenni delle imbarcazioni che sono arrivate
alla perfezione assoluta, delle vere opere d’arte.
Realizzare un’imbarcazione tradizionale,costituita da quattro pezzi di legno
e rivestita con un telo di cotone, con i mezzi e le possibilità che offre il
nostro mondo occidentale, è stato un grosso stimolo a questo progetto,che mi ha
portato comunque a fare un percorso molto più complesso di quello che m’
aspettavo.

E’ stato qualche cosa in più di una semplice conoscenza tecnica e di
costruzione, in realtà l’aspetto antropologico è la cosa che più mi ha
coinvolto, e grazie ad autori come: Birket-Smith, F.De Laguna, R.Lamblin,
Zimmerly ho avuto la possibilità di conoscere un popolo, dotato di una
formidabile abilità artigianale, ed un mondo dove “la terra, l’uomo, e il mare,
sono intimamente legati”,e dove il kayak ha rappresentato una delle risposte
più concrete,non solo come simbolo della loro cultura,ma un mezzo dalle
caratteristiche marine estremamente sofisticate tali da da mettere in crisi
anche le civiltà tecnologicamente più avanzate del tempo.
.
Per millenni quest’imbarcazione sono state costruite con regole orali e non
con dei piani costruttivi, dove le dimensioni del kayak, , venivano
determinate, facendo riferimento, alle dimensioni del cacciatore, insomma il
kayak era un adattamento totale alla morfologia del suo fruitore, ed era unico
proprio perché la sua forma partiva dal corpo dello stesso.

Il contatto con quest’universo cosi particolare, diverso dal nostro, crea
qualche cosa di magico,che parte dalla ricerca storica che s’instaura in tutte
le fasi costruttive del kayak, con un effetto contagioso.
Innanzitutto, perché ci costringe, in qualche maniera a lasciare, il mondo
moderno, altamente tecnologico e profondamente consumistico, dove tutto scorre
ad una velocità frenetica, per entrare in quello arcaico degli Inuit, dove
regna l’essenza spirituale con le sue leggi d’osservazione, contemplazione e
pazienza, dove si richiede un’ affinità spartana, in quanto il kayak
tradizionale è un mezzo di navigazione privo di comodità e spoglio dei vari
accessori, tanto amati da noi occidentali, ma anche un mezzo utilizzato per
secoli da popoli e culture del passato, utilizzato certamente non per scopi
ludici.
Se la tecnica costruttiva utilizzata è perfettamente filologica con quella
storica, antica, tradizionale si crea un rapporto speciale con il suo kayaker,
grazie alla sua unicità, perché sarà costruito come un pezzo unico, per ed
intorno al nostro corpo ed ogni esemplare, non sarà mai uguale, perché non
uscirà da nessuno stampo, cantiere o negozio, ma sarà il puro risultato, lo
specchio di quello che abbiamo saputo interpretare, trasmettere o realizzare.
Un rapporto speciale perché ci porta, ad immergersi nel silenzio totale, a tu
per tu con la nostra barca da realizzare, tra mille incognite, entrando in
simbiosi con lo stesso spirito ancestrale degli Inuit,basato sulla
contemplazione ed osservazione.
Un rapporto speciale, in qualche maniera poetica anche per tipo di materiale
che usiamo; respirare l’odore del legno, toccare la fibra densa del cotone
organico, sentire il suono degli strumenti di lavoro, respirare il profumo dell’
olio di lino, sono sensazioni,manualità , emozioni che non riusciamo più ad
apprezzare, ma che comunque ci riportano al nostro passato di vita vissuta,
specialmente per le persone non più giovanissime come nel mio caso.
Un rapporto speciale, perché non termina con la fine della costruzione, ma
continuerà a rivivere ad ogni contatto, ad ogni uscita nel mare,come nel lago,
in quanto sarà sempre l’incontro con il nostro oggetto ,quello che abbiamo
visto crescere e prendere forma sotto le nostre mani ,fino a diventare un
legame,quasi intimo in quanto non esistono i segreti nella sua struttura di cui
conosciamo bene ogni piccolo segreto..
Chi si è avventurato,nella conoscenza o nella costruzione di un kayak
tradizionale,capirà bene ciò che ho cercato di esprimere.
Il kayak per un Inuit,era un mezzo usato essenzialmente per la caccia veniva
costruito su specifiche dettate dal territorio marino e dal tipo di preda per
cui veniva utilizzato,per noi sarà un mezzo ludico, potremmo scegliere, quello
a basso volume,se vogliamo esibire le nostre capacità di appoggi ,eskimo o
recuperi,quello con più volume, se decidiamo di fare navigazione,ad ognuno il
proprio kayak,senza pretendere,di raggiungere la capacità di stare nel kayak
come un Inuit,o Aleutino .
Non dobbiamo dimenticare che un eschimese è nato cresciuto e vissuto in totale
simbiosi con la sua imbarcazione.
Tant’è vero che “ un kayak non è altro che il prolungamento del proprio corpo”
questo secondo la cultura Inuit,ciò rende perfettamente l’idea di ciò che
presenta un kayak per un eschimese.
Quello che non potrà mai diventare per noi,quindi affidiamoci al buon senso,
nella scelta del nostro kayak,e nell’uso che vorremmo fare, senza cadere,nelle
emulazione o nei fanatismi,questo per godere al meglio il nostro giocattolo.
Piero Nichilo